La "Via Appia" di Riccardo Secchi
di Alessandra Migliorati
Dagli Impressionisti in poi il tema della veduta urbana è fra i più cari alla pittura contemporanea. Allora reportage del brulicare di vita delle città, poi con le avanguardie emblema trasfigurato dello slancio modernista, negli anni tra le due guerre e ancora adesso è, nei casi più alti, il luogo della riflessione sulla contemporaneità: dalla disillusione sulla stessa modernità, alla denuncia dell’urbanismo forzato e violento che delle città cambia l’aspetto e la sostanza dei suoi rapporti sociali.
Nato nel 1954 a Reggio Emilia, ma legato a Perugia dal suo primo trasferimento nella città per studiare alla locale Accademia di Belle Arti, nel suo recente ritorno alla pittura Riccardo Secchi privilegia quest’ottica affidando all’intuizione del colpo d’occhio sensibili relazioni sul volto in divenire della città, i suoi abitanti e il paesaggio circostante. Immagini delle antiche vie medievali cittadine si affiancano a quelle dei ruderi di un recente, ma ormai dismesso, passato industriale o delle distese di campi arati appena raggiungibili fuori le mura urbiche, senza volontà di giudizio, ma nel segno dello sguardo ad occhio aperto su una realtà transeunte. La sola capacità di vedere, tuttavia, non è nulla senza l’apporto di una tecnica sapiente. E questa discende ancora intatta a Secchi dal suo giovanile apprendistato assisiate con l’americano William Congdon, protagonista nel secondo dopoguerra dell’action painting, maestro nell’insegnargli ad afferrare la realtà nella sua essenza fenomenica di segno e colore che è materia distillata dalla luce. Agendo nel solco di una moderna figurazione memore tanto di Sironi quanto di Mafai, vi è una qualità di sintesi nella pittura di Secchi perseguita con calibrate stesure cromatiche in à plat, spesso ricorrendo all’uso della spatola, su cui il segno letteralmente scava il profilo delle cose. Così in questa recente e monumentale Via Appia, luogo già tante volte oggetto del vedutismo locale e non, la fuga prospettica delle case e della lunga scalinata centrale si dà nella scansione di volumi costruiti con una tavolozza risentita di rossi, rosa e gialli accesi che giocano a contrasto con il bianco intatto della neve sui tetti e il profilo terragno dei muretti in pietra. Sparuti viandanti e le tracce lasciate per via da chi li ha preceduti, lento scavo che fa riemergere il calpestio dalla concreta massa bianca, evocano invece l’atmosfera ovattata e sospesa del giorno di neve, momento in cui lo scorrere della vita rallenta e la natura ci svela le nostre più profonde verità.
tratto da "Studi Umbri" rivista on line, n.4, maggio 2011 - http://www.studiumbri.it/
di Alessandra Migliorati
Dagli Impressionisti in poi il tema della veduta urbana è fra i più cari alla pittura contemporanea. Allora reportage del brulicare di vita delle città, poi con le avanguardie emblema trasfigurato dello slancio modernista, negli anni tra le due guerre e ancora adesso è, nei casi più alti, il luogo della riflessione sulla contemporaneità: dalla disillusione sulla stessa modernità, alla denuncia dell’urbanismo forzato e violento che delle città cambia l’aspetto e la sostanza dei suoi rapporti sociali.
Nato nel 1954 a Reggio Emilia, ma legato a Perugia dal suo primo trasferimento nella città per studiare alla locale Accademia di Belle Arti, nel suo recente ritorno alla pittura Riccardo Secchi privilegia quest’ottica affidando all’intuizione del colpo d’occhio sensibili relazioni sul volto in divenire della città, i suoi abitanti e il paesaggio circostante. Immagini delle antiche vie medievali cittadine si affiancano a quelle dei ruderi di un recente, ma ormai dismesso, passato industriale o delle distese di campi arati appena raggiungibili fuori le mura urbiche, senza volontà di giudizio, ma nel segno dello sguardo ad occhio aperto su una realtà transeunte. La sola capacità di vedere, tuttavia, non è nulla senza l’apporto di una tecnica sapiente. E questa discende ancora intatta a Secchi dal suo giovanile apprendistato assisiate con l’americano William Congdon, protagonista nel secondo dopoguerra dell’action painting, maestro nell’insegnargli ad afferrare la realtà nella sua essenza fenomenica di segno e colore che è materia distillata dalla luce. Agendo nel solco di una moderna figurazione memore tanto di Sironi quanto di Mafai, vi è una qualità di sintesi nella pittura di Secchi perseguita con calibrate stesure cromatiche in à plat, spesso ricorrendo all’uso della spatola, su cui il segno letteralmente scava il profilo delle cose. Così in questa recente e monumentale Via Appia, luogo già tante volte oggetto del vedutismo locale e non, la fuga prospettica delle case e della lunga scalinata centrale si dà nella scansione di volumi costruiti con una tavolozza risentita di rossi, rosa e gialli accesi che giocano a contrasto con il bianco intatto della neve sui tetti e il profilo terragno dei muretti in pietra. Sparuti viandanti e le tracce lasciate per via da chi li ha preceduti, lento scavo che fa riemergere il calpestio dalla concreta massa bianca, evocano invece l’atmosfera ovattata e sospesa del giorno di neve, momento in cui lo scorrere della vita rallenta e la natura ci svela le nostre più profonde verità.
tratto da "Studi Umbri" rivista on line, n.4, maggio 2011 - http://www.studiumbri.it/